mercoledì 23 novembre 2011

La nascita che continua.

Erich Fromm

“ … la nascita che continua …
Il bambino dopo il parto non differisce dal bambino prima del parto;
egli non è capace di conoscere gli oggetti appartenenti al mondo esterno,
non è capace di nutrirsi da solo,
è completamente dipendente dalla madre e morrebbe senza il suo aiuto.
Lentamente la persona che cresce impara ad amare,
a sviluppare le sue capacità, ad acquistare il senso della sua individualità,
a dominare la seduzione dei sensi per il raggiungimento di una vita integrata.
Il parto è dunque soltanto l’inizio di una nascita in senso più lato.
Tutta la vita di un individuo non è altro che il processo di far nascere se stesso;
in realtà noi dovremmo essere completamente nati quando moriremo,
benché sia tragico destino della maggior parte degli uomini morire prima di essere nati ”.

venerdì 11 novembre 2011

Riflessione sui tic nervosi.

In molte persone portatrici di tic comportamentali, talvolta anche molto vistosi, ho notato un elevato autocontrollo emotivo da parte degli stessi, che si traduce in irrigidimento espressivo. Ad esempio nei bambini che ho conosciuto con tale fastidioso problema, ho rilevato spessissimo un'eccessiva concentrazione e impegno nella performance scolastica, rispetto alla normale attenzione che un bambino, insieme alla sua famiglia, debba mostrare in tale ambito espressivo. Tale dinamica si rileva spesso nel contesto scolastico anche in molti bambini balbuzienti. Credo al riguardo che molti insegnante necessitino di interrogarsi sulla qualità del loro approccio ai bambini, in quanto ciò, può produrre nei più deboli reazioni di timore e di irrigidimento comportamentale...
Sembra quasi che la ripetizione stereotipata di comportamenti e parole, sia inevitabile per la persona, specialmente in risposta a particolari situazioni di stress o pressione contestuale nei suoi riguardi. Ma più che in risposta ad una pressione altrui, più o meno evidente, si nota nella persona una particolare tendenza a fare proprio un autocontrollo sui propri comportamenti, ciò finalizzato a concentrare ogni energia per la riuscita nelle performance scolastiche, solitamente già molto buone. In altre parole, il ragazzo, "crede" all'equivalenza che autocontrollarsi molto siglifichi fare il meglio possibile per acchiappare, come anche spesso accade, buoni voti, ma così facendo la persona richia di irrididirsi sempre più, limitanto in sempre più contesti la propria naturale spontaneità comportamentale. Di fronte a tale crescente autocontrollo/autocompressione, la risposta più "naturale" sembra essere, di conseguenza, quella involontaria dei tic, che in certi momenti rappresenta comunque l'ultima espressione di vitalità conservata.
Credo sia importante accorgersi di tali dinamiche personali, famigliari, ma indubbiamente anche scolastiche, allo scopo di approntare un intervento terapeutico, che a mio parere intravedo più tipicamente orientato a modificarne e fludificarne i comportamenti.
Buona giornata
Giulio Grecchi

venerdì 21 ottobre 2011

Le Ossessioni e le Compulsioni

Sia le Ossessioni che le Compulsioni sono i sintomi caratteristici del Disturbo Ossessivo-Compulsivo.
 
In specifico:
 
- Le Ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi molto ricorrenti e persistenti, i quali inducono ansia e paura.
 
- Le Compulsioni sono comportamenti o azioni mentali stereotipati ed incessantemente ripetuti per cercare di mitigare le suddette ansia e paura.

La maggior parte degli individui colpite dal disturbo ossessivo-compulsivo ha sia ossessioni che compulsioni, anche se certe volte possono esser presenti o solo ossessioni o solo compulsioni.
Le ossessioni si presentano e ripresentano continuamente durante la giornata e risultano essere fuori dal controllo psicologico dell'individuo.
 
Tali pensieri sono, per la persona e per tutti i suoi contesti sociale, familiare, affettivo, lavorativo, etc., altamente disturbanti ed intrusivi.

Per cercare di soppiantare questi pensieri vengono messe in atto le compulsioni, cioè dei comportamenti ripetitivi e sempre uguali nella loro forma, come ad esempio lavarsi le mani, riordinare, controllare, o delle azioni mentali, come ad esempio contare, pregare, ripetere formule.

Queste ripetizioni dunque sono il fallimentare tentativo di frenare e/o allontanare l'ansia, la quale anzi cresce ancor di più, alimentata ulteriormente da questi comportamenti fortemente stancanti e debilitanti.

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La Sessodipendenza (Dipendenza dal sesso)

La Dipendenza sessuale assomiglia ad altre dipendenze come ad esempio quella da sostanze psicoattivi.
 
Anch'essa infatti può purtroppo generare sintomi negativi come ad esempio astinenza (sia psicologica che fisica), assuefazione, craving (intenso desiderio del qualcosa dalla quale l'individuo dipende) etc.; così come può apportare tutte le conseguenze negative sulla vita personale, interpersonale, sociale e lavorativa della persona.
 
Tali molteplici e vitali contesti vengono allora messi in disparte per dare sempre più spazio ai pensieri e ai comportamenti di tipo sessuale. 
La maggior parte del tempo viene dunque speso nel ricercare in modo spasmodico e disperato e nell'assecondare impulsi, pensieri e comportamenti sessualmente connotati.
 
Il dipendente sessuale è continuamente tempestato da fantasie, pensieri ed impulsi a sfondo sessuale e alla continua ricerca di comportamenti sessuali e dunque di partner, di masturbazione, di sesso a pagamento, e, certe volte, di utilizzo di materiale pornografico e di parafilie (ad esempio voyerismo, masochismo, feticismo, sadismo, esibizionismo, etc.).
 
La persona può sperimentare momenti di eccessi sessuali durante l’arco della vita, ma a differenza del dipendente sessuale riesce a controllarli ed essi stessi hanno un tempo delimitato. 
Chi è afflitto da dipendenza sessuale non riesce più invece ad avere il controllo sui propri impulsi psico-fisici a carattere sessuale.
 
Chi è dipendente dal sesso spesso può mostrare sintomi e conseguenze come:

- discontrollo sui pensieri e sui comportamenti sessuali;

- continue fantasie sessuali (anche irreali);

- elevati livelli di ansia;

- depressione e/o altri disturbi dell'umore;

- impulsività ed aggressività;

- sadismo, masochismo e/o feticismo;

- senso di colpa, di vergogna e abbassamento dell’autostima;

- utilizzo di materiale pornografico (anche fino alla Pornodipendenza);

- meccanismi ossessivo-compulsivi;

- disfunzioni sessuali: eiaculazione precoce, impotenza, disturbi del desiderio;

- malattie veneree;

- problemi del sonno;

- problemi di concentrazione, attenzione e memoria;

- forte dispendio economico (per tutto ciò che concerne il sesso);

- seri problemi nei rapporti interpersonali (alcune volte con la loro perdita);

- seri problemi nel lavoro (alcune volte con la sua perdita);

- isolamento;

I sintomi non fanno altro che innescare e tener vivo un circolo sempre più stretto e senza fine nel quale ossessioni ed atti sessuali provocano stress, tensione, rabbia, colpa, ansia, le quali a loro volta generano altri impulsi e comportamenti di sessodipendenza.
 
Il dipendente sessuale nel vano tentativo di controllare la sua dipendenza può andare incontro a periodi contraddistinti da atteggiamenti e dinamiche interne diametralmente opposte, ovvero di astensione totale da tutto ciò che riguarda il sesso e la sessualità: in altre parole finisce per incappare in un altro disturbo definito "Anoressia sessuale". 

Tali momenti di astinenza sono comunque nuovamente seguiti da ulteriori periodi di dipendenza, aumentando oltretutto l’entità generale della sintomatologia.

Alcune volte il dipendente sessuale mette a rischio la propria libertà, sicurezza ed incolumità, così come quella altrui, pur di perseguire la propria dipendenza dal sesso, totalmente annebbiato dal perseguire gli stimoli psico-fisici che ricerca continuamente in tutto ciò che è connotato sessualmente.

Talvolta addirittura, nei casi maggiormente gravi, egli infrange la legge, con il conseguente rischio di finire sotto processo e magari in carcere.

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venerdì 30 settembre 2011

Giochi innocui e giochi pericolosi



Il pericolo è nel gioco, o nella dichiarazione del gioco? Se ti dico “sto giocando” intendo rassicurarti. Ma se quando tu ti fidi, io ti imbroglio? Se resto dentro le regole del gioco ho vinto. Se esco dalle regole ho imbrogliato. Se hai potere mi sputtani, se non ce l’hai subisci, ma me la farai pagare alla prima occasione.
Se ti aspetti che io faccia sul serio, come in un contratto di affari, o in amore, non accetti che sia un gioco. Ma se non è un gioco, è pericoloso. Sei disposto ad accettarne il pericolo?
Tornando alla classificazione di Caillois, i giochi di competizione, di fortuna, di vertigine, sono tutti più o meno pericolosi. Si rischia di perdere soldi, di perdere la faccia, di perdere la vita. Ma il rischio fa parte di questi giochi. Senza rischio non c’è emozione, l’adrenalina non si mette in moto, il gioco diventa noioso. Anche se non si gioca a soldi, o se nei giochi di vertigine si è assicurati con corde e imbracature solidissime, c’è sempre il rischio psicologico di aver perso contro la sorte, contro la gravità, contro le nostre forze, di constatare che siamo un po’ meno in forma, meno coraggiosi, meno bravi di un compagno.


Il gioco comporta sempre un pericolo, o almeno un rischio? Esiste un gioco in cui non si rischia nulla?
Penso ad un gioco assolutamente innocuo. Esiste? Secondo la classificazione di Caillois in giochi di competizione (lotta, corsa, pugilato, scacchi), di fortuna (scommesse, roulette, lotterie), di simulacro (bambole, giochi di ruolo, teatro), di vertigine (giostra, altalena, valzer, free  climbing, acrobazie), mi pare che giochi innocui e del tutto privi di rischi siano da cercare solo fra quelli di simulacro. Tuttavia anche in questo caso i giochi di ruolo e di teatro possono comportare qualche rischio: dimenticarsi la battuta e fare cattiva figura, rompere la bambola, prendere coscienza di un proprio problema vedendolo rappresentato in un gioco di ruolo.
Nel gioco quindi deve succedere sempre qualcosa, altrimenti diventa un rituale ripetitivo e vuoto, come un tic nervoso. Però quello che succede nella maggior parte dei casi non va preso molto sul serio, perché è solo un gioco. Quindi per il fatto stesso che stiamo giocando, dovremmo essere al sicuro da rischi e pericoli.
Tuttavia se non si rischia proprio nulla, “il gioco non vale la candela”. In un gioco in genere si rischia di perdere la posta (quella parte dei miei averi che ho deciso di mettere in gioco) o di perdere la faccia (quella parte di me che ho deciso di mettere in gioco). Se perdo tutti i miei averi o tutta la mia persona non è più un gioco, ma una tragedia.
Gregory Bateson studiò il gioco come applicazione della teoria dei tipi logici di Russel e Withehead ai comportamenti animali e umani. Per Bateson il gioco è un metalinguaggio: i giochi sono qualcosa che "non è quello che sembra"; perché un gioco sia tale ogni giocatore deve poter affermare: "questo è un gioco", cioè ci deve dire che la sua azione è fittizia, che sta giocando “come se” stesse facendo altro.

Un giorno Bateson, nello zoo di S.Francisco, osservò due giovani scimmie che giocavano, cioè erano impegnate in una “sequenza interattiva”, con azioni simili, ma non identiche, a quelle del combattimento.
“Era evidente anche all’osservatore umano che la sequenza non era un combattimento, ed era
evidente che anche per le scimmie che vi partecipavano, questo era “non combattimento”. In altre parole, visto che le scimmie si mordicchiavano senza farsi del male, vuol dire che in qualche modo si erano mandate un messaggio del tipo “questo è un gioco”. L’asserzione “questo è un gioco”, se la si sviluppa, assume la forma: “Le azioni che in questo momento stiamo compiendo non denotano ciò che denoterebbero le azioni per cui esse stanno”.( Bateson,1972 )
Le azioni in cui si impegnano i due animali sono viste come azioni comunicative, anche nel caso che siano azioni propriamente aggressive. Il graffio e il morso non sono considerati come atti di attacco o difesa, ma come atti di relazione tra un animale e l’altro. Nel caso del gioco, i gesti non sono soltanto se stessi, ma dicono qualche altra cosa.

Il gioco, in quanto metamessaggio, dice che le cose che faremo non vanno prese nel significato che normalmente hanno, ma in un altro. Se io dicessi:” vi sto dicendo delle bugie”, per non cadere nel paradosso, l’asserzione “vi dico delle bugie” non deve essere una bugia. “Questo è un gioco” non è un gioco, non fa parte del gioco, ma della relazione. Significa che la relazione che sto intrattenendo con te è un gioco, non è una cosa seria.
Quindi, per giocare, devo mettere in cornice tutta l’azione del gioco (questo è un gioco), devo mettermi fuori dalla cornice per concordare con gli altri che si tratta di un gioco, devo entrare dentro la cornice per giocare, devo uscire per valutare se gli altri stanno giocando o no, devo rientrare per finire il gioco, devo uscire per far capire anche all’altro che il gioco è finito e che ora si passa ad un altro tipo di relazione (questo non è più un gioco), magari per valutare le conseguenze del gioco (vincite e perdite).
Una volta entrati in un gioco, spesso è molto difficile uscirne. Il gioco sembra combinare un alto livello di creatività con un’elevata possibilità di equivoci e di regressione verso uno scambio comunicativo molto più “basso”, aggressivo e ripetitivo. Ecco dunque che un gioco apparentemente innocuo può diventare pericoloso, se almeno uno dei giocatori non capisce che “ogni bel gioco dura poco”.


Quando si gioca dunque, ci si predispone a non essere veramente aggressivi e distruttivi. Gli inglesi hanno il bel termine fair play, gioco leale, pulito, da gentiluomini. Si stabiliscono regole, esplicite o implicite, che ogni giocatore rispetta, per non mettersi fuori gioco. Anche se si corrono rischi o si affrontano pericoli, non sono veri rischi, perché è un gioco.
Se un gioco è veramente pericoloso non lo diciamo, altrimenti ne abbassiamo il livello di pericolosità. Oppure simuliamo pericoli più gravi di quanto non siano, per rendere il gioco più interessante.
Il gioco dunque implica un atteggiamento metacomunicativo (“questo è un gioco”) ma al tempo stesso una comunicazione manipolatoria (“poiché è un gioco, tu sai che non è pericoloso, quindi gioca tranquillo e divertiti”, oppure “il gioco è pericoloso, ma poiché è un gioco tu sai che non si tratta di un vero pericolo”). Però così si cade nel paradosso di Epimenide: “tutti i cretesi mentono, e io sono cretese”. Ciò significa che se tutti i cretesi mentono e io sono cretese, sto mentendo, dunque i cretesi non mentono, ma se non mentono sto dicendo la verità, dunque mentono, e così via in un loop senza fine. Se è un gioco non è pericoloso, se è pericoloso non è un gioco, e così via.

 
Qualunque gioco può essere rischioso se si vince o si perde, con se stessi o con gli altri, ed è proprio il rischio di perdere che rende attraente il gioco. Se però nel gioco si impegna tutto il proprio essere, non lasciando più nulla al di fuori della sua cornice, il gioco diventa pericoloso. Perché perdere significa perdere se stessi. I ragazzi che si schiantano con le auto dopo la discoteca o nelle gare clandestine non sanno più uscire dal gioco. Ci sono dentro fino al collo, e ci rimettono l’osso del collo.
Il gioco è flessibilità, fluidità, capacità di entrare e uscire dal gioco. Finché c’è gioco non c’è pericolo. Anche il masochista si mette d’accordo con il partner sadico su un segnale di stop, quando non sopporta più il dolore. Se il sadico non rispetta l’accordo, il masochista può morire. Quando non c’è più gioco la situazione si blocca. La cornice diventa una trappola da cui non si esce da soli, perché non si sa più uscire dal gioco che ormai non è più un gioco.
Anche nella vita normale, nelle cose che facciamo sul serio, dobbiamo saperci mettere una componente di gioco. Dobbiamo saper entrare ed uscire. Se insistiamo in un comportamento quando non è più il caso, se tendiamo a ricorrere a soluzioni ridondanti, ci stiamo intrappolando, e sarà piuttosto difficile uscire dal gioco.
E il gioco può diventare pericoloso.
 
Per la rubrica Manager Ludens un nuovo articolo di Umberto Santucci


La parabola della rana bollita

La parabola della rana bollita

Se mettete una rana in una pentola di acqua bollente, essa cercherà immediatamente di saltare fuori. Ma se la mettete in acqua a temperatura ambiente e non la spaventate, se ne resterà ferma. Ora, se la pentola è su una fonte di calore, e se aumentate gradualmente la temperatura, succede qualcosa di molto interessante. All’aumento della temperatura da 21 a 27 gradi la rana non farà nulla. Anzi essa dimostrerà in tutti i modi di godersela

Da una stanza all'altra

Chiesi ad un studente: "come fai ad andare da questa stanza a quella stanza ? "

lui mi rispose: "prima di tutto mi alzo, poi faccio un passo..."

Lo interruppi: "dimmi tutti i modi possibili di andare da questa stanza a quella stanza"

"Ci si può andare correndo, camminando, saltando, ci si può andare facendo capriole. Si può uscire da quella porta, uscire dall'edificio, entrare per l'altra porta dentro la stanza. Oppure se vuoi puoi scalare la finestra..."

Ed io : " hai detto che li avresti detti tutti, ma hai tralasciato un modo, il più importante... se io volessi andare nella'ltra stanza uscirei da quella porta lì, prenderei un taxi fino all'aereoporto, comprerei un biglietto per Chicago, new York, Londra, Roma, Atene, Hong Kong, Honolulu, San Francisco, Dallas, Phoenix, tornerei indietro in macchina ed entrerei nel giardino posteriore attraverso il passaggio di dietro, entrerei nella porta posteriore e andrei dritto in quella stanza ... ed abbiamo pensato solo ai movimenti in avanti, potremmo pensare anche all'andare indietro, vero? e andando a carponi ? ....

"potremmo anche strisciare sulla pancia" aggiunse lo studente.

E' proprio vero che ci limitiamo così terribilmente in tutte le nostre forme di pensiero ...

[Milton Erickson - "La mia voce ti accompagnerà"]

Modelli terapeutici delle fobie.

Poiché le fobie possono influenzare la vita quotidiana di coloro che le patiscono fino ai punto di arrecare autentici disturbi nelle loro relazioni affettive, il loro mondo lavorativo e nella loro vita privata, molte persone realizzano consulti circa un possibile trattamento delle fobie, sia per eliminarle sia per imparare a convivere con loro. È importante sapere che le fobie non sono solite a scomparire da sole, per questo è molto importante cercare aiuto.
Per iniziare un trattamento, la prima cosa è avere la diagnosi di un professionista (poiché ciò che si può confondere con una fobia specifica potrebbe essere in realtà un disturbo di ansietà o qualcosa di circostanziale). È importante conoscere i diversi fattori implicati nel problema (che cosa scatena la fobia, che cosa la predispone, quali soluzioni sono state provate). Il paziente e lo specialista debbono mantenere un rapporto fluido che permetta loro di elaborare obiettivi da raggiungere con la terapia.
Le fobie specifiche di solito si trattano tramite la psicoterapia, che mentre mostra al paziente le cause della sua fobia, apporta tecniche per dominare l’ansietà dinanzi allo stimolo scatenante. Le tecniche per controllare la respirazione e la tensione muscolare possono esser anche di grande utilità.
Un tipo di terapia consueta per le fobie è la terapia di esposizione. In questa terapia, piano piano, i professionisti confrontano il paziente con la situazione temuta. Lo stimolo graduale e progressivo fa che le persone controllino lentamente i propri timori (ad esempio, se una persona ha paura degli uccelli può iniziare guardando una piuma o il disegno di un uccello, appena riesca a tollerare la paura che questi stimoli generano si può proseguire con qualcosa altro). Molto simile è la terapia conosciuta come desensibilizzazione sistematica, in cui al posto di stimoli si fa ricorso all’immaginazione del paziente, cha proietta nella sua mente lo stimolo temuto. In entrambi gli esempi di terapia, l’esposizione o l’immaginazione si fermano quando il paziente non può controllare la sua ansietà e si riprende quando si è tranquillizzato. Pian piano riesce a resistere per periodi più lunghi e perde la paura.
Esiste un’altra terapia conosciuta come terapia cognitiva, in cui si dà al paziente molta informazione riguardo la situazione che teme, in questo modo acquista fiducia in maniera progressiva (questa terapia si usa molto con pazienti che soffrono di aerofobia –paura di volare- e che tuttavia hanno bisogno di salire in aereo per motivi lavorativi).
Tuttavia, alcune persone scelgono anche metodi di shock (terapie di condotta in cui si produce un’esposizione forzata allo stimolo finché il paziente riesce a controllare la sua ansietà). L’uso di psicofarmaci non è di solito raccomandato nella terapia delle fobie poiché , sebbene possano lenire sintomi di ansietà, non elimina i problemi.
Negli ultimi anni la Programmazione Neurolinguistica è divenuta moda come terapia per determinate fobie, ma i risultati della medesima non sono ancora stati scientificamente verificati. Altre terapie alternative includono la terapia coi fiori di Bach, i libri e gruppi di sostegno e l’ipnosi.
Bisogna tener conto che una persona che patisce una fobia non deve sottoporsi a nessun tipo di terapia senza prima essersi affidata un professionista della salute. Sono loro quelli indicati per studiare il suo caso in profondità, fare gli esami clinici del caso – per scartare qualsiasi tipo di causa medica che non risponda alla definizione di fobia- e, se necessario, raccomandare il modo migliore per fronteggiare il problema.
L’aspetto fondamentale, giunto il momento di trattare una fobia, è essere deciso a superarla, non deludersi se i risultati tardano, fissarsi mete chiare e possibili (non immaginare situazioni impossibili da raggiungere: una persona con cinofobia –paura dei cani- forse non riuscirà mai a godere dalla compagnia di tre mastini, ma può sentirsi bene se riesce a visitare un amico che ha un cane in casa senza per questo sentire ansietà nei giorni precedenti. Si deve poi stabilire un giorno determinato per iniziare la terapia, caricandosi di pazienza. In fine, dare valore a tutti e a ogni successo, per piccoli che possano sembrare e che implicano sempre un grande passo.

Alcune note fobie.

All’interno della classificazione in fobie specifiche (paura di certi oggetti, situazioni o fenomeni) e fobie sociali (timore o ansietà estrema dinanzi a determinati avvenimenti, come stabilire contatto verbale con sconosciuti o avere contatto con la famiglia politica), si deve dire che sono molto più comuni le prime. Di fatto, molta gente patisce una fobia specifica ma questa non influisce la loro vita quotidiana (come potrebbe essere il caso di una persona che viva in una grande città e patisca di ofidiofobia –paura dei serpenti- e che, giunto il caso, eviterà di trovarsi loro in uno parco zoologico).
Sebbene sia difficile determinare quali siano le dieci fobie più comuni (poiché variano a seconda del sesso e dell’età – gli adolescenti patiscono fobie sociali con maggiore frequenza degli adulti-), ecco qui un elenco di quelle che vengono considerate più frequenti in genere:
Aracnofobia: Si tratta della paura dei ragni. Si calcola che la metà delle donne e il 10% degli uomini patiscono di un qualche grado di questa fobia. Le reazioni di queste persone risultano esagerate per gli altri e persino per gli stessi fobici. Queste persone cercano di mantenersi lontano dai luoghi dove possono trovarsi ragni, o dove hanno visto ragnatele. Nei casi più seri, il panico può essere scatenato persino vedendo una fotografia.
Sociofobia: Si tratta di una paura persistente e intensa di essere giudicato negativamente nelle occasioni sociali. È una fobia tra le più comuni fra adolescenti e giovani e si calcola che circa un 4% delle persone tra 18 e 55 anni la patiscono. A differenza di quanto succede nella maggioranza delle fobie, questa fobia sociale è ugualmente comune tra uomini e donne.
Aerofobia: Si tratta della molto comune paura a viaggiare in aereo (si calcola, di fatto, che solo il 5% dei passeggeri salgono in aereo senza timori di sorta). Tuttavia, le persone che patiscono di questa fobia non sentono solo una leggera inquietudine al momento dell’atterraggio e del decollo, ma in occasioni le fobie gli impediscono di pensare soltanto ad una viaggio di questo tipo o recano disturbi di ansietà dinanzi alla prospettiva di un futuro viaggio, persino mesi prima di portarlo a termine.
Agorafobia: Si tratta della paura degli spazi aperti ed è un disturbo più comune tra le donne che tra gli uomini. L’agorafobico teme ogni luogo dove non si sente “sicuro” o non può “ricevere aiuto”. Chi soffre di questo tipo di disturbo di solito si rifugia nella sua casa e raramente esce, poiché in queste occasioni sente una gran ansietà. È la fobia che con maggior frequenza motiva visite agli specialisti.
Claustrofobia: Al contrario dell’agorafobia, questo disturbo implica il timore di restare confinato in spazi chiusi. Si calcola che tra un 2 e un 5% della popolazione mondiale patisce di questa fobia. Queste persone tendono a evitare ascensori, metrò, tunnel, stanze piccole, persino porte girevoli possono presentare difficoltà, come anche l’uso di attrezzature per tecniche mediche diagnostiche come la TAC.
Acrofobia: Si tratta della paura delle altezze, non semplici vertigini ma un timore che porta all’ansietà a chi ne patisce. La fobia di solito si manifesta in situazioni quali affacciarsi ad un balcone, essere in un belvedere in alto o vicino a un burrone. Come succede anche in altre fobie, coloro che ne patiscono cercheranno di evitare la situazione temuta.
Emetofobia: Si tratta della paura del vomito o di vomitare. Ci sono persone che sentono più di una semplice avversione verso l’atto di vomitare e che persino cambiano le loro consuetudini alimentari e sociali in conseguenza di ciò (per esempio, evitano di mangiare in ristoranti per timore che il cibo servito possa produrre mal di stomaco). Sebbene solo nei casi più estremi si considera fobia, si calcola che il 6% della popolazione sente paura di vomitare.
Carcinofobia: Si tratta della paura di contrarre il cancro. È uno dei timori più comuni dal momento in cui la maggior parte degli adulti sentono apprensione dinanzi la possibilità di manifestare i sintomi di questa malattia. Tuttavia, nel caso dei fobici si tratta di una paura molto antinaturale, poiché dimostrano di temere qualsiasi sintomo fisico negativo, associandoli tutti a sintomi della malattia.
Brontofobia: Sono comuni le fobie che coinvolgono elementi climatici o determinati fenomeni meteorologici, è questo il caso della brontofobia. Consiste nella paura estrema dei fulmini e tuoni delle tormente. Colui che partisce questa fobia sarà allarmato sia prima che durante le tormente, e nei casi estremi patirà i sintomi dell’ansietà. Può persino veder influenzata la sua vita sociale, poiché la pianificazione delle sue attività dipende dalle previsioni meteorologiche e piò non recarsi al lavoro o modificare le abitudini per via del clima.
Necrofobia: la paura della morte è qualcosa di naturale e istintivo nell’uomo, possibilmente perché la morte è lo sconosciuto. Inoltre, si associa la morte con i patimenti che la precedono, dolore, sofferenza, ecc. Tuttavia, alcune persone soffrono di una vera fobia verso la morte e gli esseri morti. Coloro che patiscono di questa condizione non possono spiegare il senso agghiacciante che sentono al avere quando vedono a una mummia o a un cadavere.