venerdì 30 settembre 2011

Giochi innocui e giochi pericolosi



Il pericolo è nel gioco, o nella dichiarazione del gioco? Se ti dico “sto giocando” intendo rassicurarti. Ma se quando tu ti fidi, io ti imbroglio? Se resto dentro le regole del gioco ho vinto. Se esco dalle regole ho imbrogliato. Se hai potere mi sputtani, se non ce l’hai subisci, ma me la farai pagare alla prima occasione.
Se ti aspetti che io faccia sul serio, come in un contratto di affari, o in amore, non accetti che sia un gioco. Ma se non è un gioco, è pericoloso. Sei disposto ad accettarne il pericolo?
Tornando alla classificazione di Caillois, i giochi di competizione, di fortuna, di vertigine, sono tutti più o meno pericolosi. Si rischia di perdere soldi, di perdere la faccia, di perdere la vita. Ma il rischio fa parte di questi giochi. Senza rischio non c’è emozione, l’adrenalina non si mette in moto, il gioco diventa noioso. Anche se non si gioca a soldi, o se nei giochi di vertigine si è assicurati con corde e imbracature solidissime, c’è sempre il rischio psicologico di aver perso contro la sorte, contro la gravità, contro le nostre forze, di constatare che siamo un po’ meno in forma, meno coraggiosi, meno bravi di un compagno.


Il gioco comporta sempre un pericolo, o almeno un rischio? Esiste un gioco in cui non si rischia nulla?
Penso ad un gioco assolutamente innocuo. Esiste? Secondo la classificazione di Caillois in giochi di competizione (lotta, corsa, pugilato, scacchi), di fortuna (scommesse, roulette, lotterie), di simulacro (bambole, giochi di ruolo, teatro), di vertigine (giostra, altalena, valzer, free  climbing, acrobazie), mi pare che giochi innocui e del tutto privi di rischi siano da cercare solo fra quelli di simulacro. Tuttavia anche in questo caso i giochi di ruolo e di teatro possono comportare qualche rischio: dimenticarsi la battuta e fare cattiva figura, rompere la bambola, prendere coscienza di un proprio problema vedendolo rappresentato in un gioco di ruolo.
Nel gioco quindi deve succedere sempre qualcosa, altrimenti diventa un rituale ripetitivo e vuoto, come un tic nervoso. Però quello che succede nella maggior parte dei casi non va preso molto sul serio, perché è solo un gioco. Quindi per il fatto stesso che stiamo giocando, dovremmo essere al sicuro da rischi e pericoli.
Tuttavia se non si rischia proprio nulla, “il gioco non vale la candela”. In un gioco in genere si rischia di perdere la posta (quella parte dei miei averi che ho deciso di mettere in gioco) o di perdere la faccia (quella parte di me che ho deciso di mettere in gioco). Se perdo tutti i miei averi o tutta la mia persona non è più un gioco, ma una tragedia.
Gregory Bateson studiò il gioco come applicazione della teoria dei tipi logici di Russel e Withehead ai comportamenti animali e umani. Per Bateson il gioco è un metalinguaggio: i giochi sono qualcosa che "non è quello che sembra"; perché un gioco sia tale ogni giocatore deve poter affermare: "questo è un gioco", cioè ci deve dire che la sua azione è fittizia, che sta giocando “come se” stesse facendo altro.

Un giorno Bateson, nello zoo di S.Francisco, osservò due giovani scimmie che giocavano, cioè erano impegnate in una “sequenza interattiva”, con azioni simili, ma non identiche, a quelle del combattimento.
“Era evidente anche all’osservatore umano che la sequenza non era un combattimento, ed era
evidente che anche per le scimmie che vi partecipavano, questo era “non combattimento”. In altre parole, visto che le scimmie si mordicchiavano senza farsi del male, vuol dire che in qualche modo si erano mandate un messaggio del tipo “questo è un gioco”. L’asserzione “questo è un gioco”, se la si sviluppa, assume la forma: “Le azioni che in questo momento stiamo compiendo non denotano ciò che denoterebbero le azioni per cui esse stanno”.( Bateson,1972 )
Le azioni in cui si impegnano i due animali sono viste come azioni comunicative, anche nel caso che siano azioni propriamente aggressive. Il graffio e il morso non sono considerati come atti di attacco o difesa, ma come atti di relazione tra un animale e l’altro. Nel caso del gioco, i gesti non sono soltanto se stessi, ma dicono qualche altra cosa.

Il gioco, in quanto metamessaggio, dice che le cose che faremo non vanno prese nel significato che normalmente hanno, ma in un altro. Se io dicessi:” vi sto dicendo delle bugie”, per non cadere nel paradosso, l’asserzione “vi dico delle bugie” non deve essere una bugia. “Questo è un gioco” non è un gioco, non fa parte del gioco, ma della relazione. Significa che la relazione che sto intrattenendo con te è un gioco, non è una cosa seria.
Quindi, per giocare, devo mettere in cornice tutta l’azione del gioco (questo è un gioco), devo mettermi fuori dalla cornice per concordare con gli altri che si tratta di un gioco, devo entrare dentro la cornice per giocare, devo uscire per valutare se gli altri stanno giocando o no, devo rientrare per finire il gioco, devo uscire per far capire anche all’altro che il gioco è finito e che ora si passa ad un altro tipo di relazione (questo non è più un gioco), magari per valutare le conseguenze del gioco (vincite e perdite).
Una volta entrati in un gioco, spesso è molto difficile uscirne. Il gioco sembra combinare un alto livello di creatività con un’elevata possibilità di equivoci e di regressione verso uno scambio comunicativo molto più “basso”, aggressivo e ripetitivo. Ecco dunque che un gioco apparentemente innocuo può diventare pericoloso, se almeno uno dei giocatori non capisce che “ogni bel gioco dura poco”.


Quando si gioca dunque, ci si predispone a non essere veramente aggressivi e distruttivi. Gli inglesi hanno il bel termine fair play, gioco leale, pulito, da gentiluomini. Si stabiliscono regole, esplicite o implicite, che ogni giocatore rispetta, per non mettersi fuori gioco. Anche se si corrono rischi o si affrontano pericoli, non sono veri rischi, perché è un gioco.
Se un gioco è veramente pericoloso non lo diciamo, altrimenti ne abbassiamo il livello di pericolosità. Oppure simuliamo pericoli più gravi di quanto non siano, per rendere il gioco più interessante.
Il gioco dunque implica un atteggiamento metacomunicativo (“questo è un gioco”) ma al tempo stesso una comunicazione manipolatoria (“poiché è un gioco, tu sai che non è pericoloso, quindi gioca tranquillo e divertiti”, oppure “il gioco è pericoloso, ma poiché è un gioco tu sai che non si tratta di un vero pericolo”). Però così si cade nel paradosso di Epimenide: “tutti i cretesi mentono, e io sono cretese”. Ciò significa che se tutti i cretesi mentono e io sono cretese, sto mentendo, dunque i cretesi non mentono, ma se non mentono sto dicendo la verità, dunque mentono, e così via in un loop senza fine. Se è un gioco non è pericoloso, se è pericoloso non è un gioco, e così via.

 
Qualunque gioco può essere rischioso se si vince o si perde, con se stessi o con gli altri, ed è proprio il rischio di perdere che rende attraente il gioco. Se però nel gioco si impegna tutto il proprio essere, non lasciando più nulla al di fuori della sua cornice, il gioco diventa pericoloso. Perché perdere significa perdere se stessi. I ragazzi che si schiantano con le auto dopo la discoteca o nelle gare clandestine non sanno più uscire dal gioco. Ci sono dentro fino al collo, e ci rimettono l’osso del collo.
Il gioco è flessibilità, fluidità, capacità di entrare e uscire dal gioco. Finché c’è gioco non c’è pericolo. Anche il masochista si mette d’accordo con il partner sadico su un segnale di stop, quando non sopporta più il dolore. Se il sadico non rispetta l’accordo, il masochista può morire. Quando non c’è più gioco la situazione si blocca. La cornice diventa una trappola da cui non si esce da soli, perché non si sa più uscire dal gioco che ormai non è più un gioco.
Anche nella vita normale, nelle cose che facciamo sul serio, dobbiamo saperci mettere una componente di gioco. Dobbiamo saper entrare ed uscire. Se insistiamo in un comportamento quando non è più il caso, se tendiamo a ricorrere a soluzioni ridondanti, ci stiamo intrappolando, e sarà piuttosto difficile uscire dal gioco.
E il gioco può diventare pericoloso.
 
Per la rubrica Manager Ludens un nuovo articolo di Umberto Santucci


La parabola della rana bollita

La parabola della rana bollita

Se mettete una rana in una pentola di acqua bollente, essa cercherà immediatamente di saltare fuori. Ma se la mettete in acqua a temperatura ambiente e non la spaventate, se ne resterà ferma. Ora, se la pentola è su una fonte di calore, e se aumentate gradualmente la temperatura, succede qualcosa di molto interessante. All’aumento della temperatura da 21 a 27 gradi la rana non farà nulla. Anzi essa dimostrerà in tutti i modi di godersela

Da una stanza all'altra

Chiesi ad un studente: "come fai ad andare da questa stanza a quella stanza ? "

lui mi rispose: "prima di tutto mi alzo, poi faccio un passo..."

Lo interruppi: "dimmi tutti i modi possibili di andare da questa stanza a quella stanza"

"Ci si può andare correndo, camminando, saltando, ci si può andare facendo capriole. Si può uscire da quella porta, uscire dall'edificio, entrare per l'altra porta dentro la stanza. Oppure se vuoi puoi scalare la finestra..."

Ed io : " hai detto che li avresti detti tutti, ma hai tralasciato un modo, il più importante... se io volessi andare nella'ltra stanza uscirei da quella porta lì, prenderei un taxi fino all'aereoporto, comprerei un biglietto per Chicago, new York, Londra, Roma, Atene, Hong Kong, Honolulu, San Francisco, Dallas, Phoenix, tornerei indietro in macchina ed entrerei nel giardino posteriore attraverso il passaggio di dietro, entrerei nella porta posteriore e andrei dritto in quella stanza ... ed abbiamo pensato solo ai movimenti in avanti, potremmo pensare anche all'andare indietro, vero? e andando a carponi ? ....

"potremmo anche strisciare sulla pancia" aggiunse lo studente.

E' proprio vero che ci limitiamo così terribilmente in tutte le nostre forme di pensiero ...

[Milton Erickson - "La mia voce ti accompagnerà"]

Modelli terapeutici delle fobie.

Poiché le fobie possono influenzare la vita quotidiana di coloro che le patiscono fino ai punto di arrecare autentici disturbi nelle loro relazioni affettive, il loro mondo lavorativo e nella loro vita privata, molte persone realizzano consulti circa un possibile trattamento delle fobie, sia per eliminarle sia per imparare a convivere con loro. È importante sapere che le fobie non sono solite a scomparire da sole, per questo è molto importante cercare aiuto.
Per iniziare un trattamento, la prima cosa è avere la diagnosi di un professionista (poiché ciò che si può confondere con una fobia specifica potrebbe essere in realtà un disturbo di ansietà o qualcosa di circostanziale). È importante conoscere i diversi fattori implicati nel problema (che cosa scatena la fobia, che cosa la predispone, quali soluzioni sono state provate). Il paziente e lo specialista debbono mantenere un rapporto fluido che permetta loro di elaborare obiettivi da raggiungere con la terapia.
Le fobie specifiche di solito si trattano tramite la psicoterapia, che mentre mostra al paziente le cause della sua fobia, apporta tecniche per dominare l’ansietà dinanzi allo stimolo scatenante. Le tecniche per controllare la respirazione e la tensione muscolare possono esser anche di grande utilità.
Un tipo di terapia consueta per le fobie è la terapia di esposizione. In questa terapia, piano piano, i professionisti confrontano il paziente con la situazione temuta. Lo stimolo graduale e progressivo fa che le persone controllino lentamente i propri timori (ad esempio, se una persona ha paura degli uccelli può iniziare guardando una piuma o il disegno di un uccello, appena riesca a tollerare la paura che questi stimoli generano si può proseguire con qualcosa altro). Molto simile è la terapia conosciuta come desensibilizzazione sistematica, in cui al posto di stimoli si fa ricorso all’immaginazione del paziente, cha proietta nella sua mente lo stimolo temuto. In entrambi gli esempi di terapia, l’esposizione o l’immaginazione si fermano quando il paziente non può controllare la sua ansietà e si riprende quando si è tranquillizzato. Pian piano riesce a resistere per periodi più lunghi e perde la paura.
Esiste un’altra terapia conosciuta come terapia cognitiva, in cui si dà al paziente molta informazione riguardo la situazione che teme, in questo modo acquista fiducia in maniera progressiva (questa terapia si usa molto con pazienti che soffrono di aerofobia –paura di volare- e che tuttavia hanno bisogno di salire in aereo per motivi lavorativi).
Tuttavia, alcune persone scelgono anche metodi di shock (terapie di condotta in cui si produce un’esposizione forzata allo stimolo finché il paziente riesce a controllare la sua ansietà). L’uso di psicofarmaci non è di solito raccomandato nella terapia delle fobie poiché , sebbene possano lenire sintomi di ansietà, non elimina i problemi.
Negli ultimi anni la Programmazione Neurolinguistica è divenuta moda come terapia per determinate fobie, ma i risultati della medesima non sono ancora stati scientificamente verificati. Altre terapie alternative includono la terapia coi fiori di Bach, i libri e gruppi di sostegno e l’ipnosi.
Bisogna tener conto che una persona che patisce una fobia non deve sottoporsi a nessun tipo di terapia senza prima essersi affidata un professionista della salute. Sono loro quelli indicati per studiare il suo caso in profondità, fare gli esami clinici del caso – per scartare qualsiasi tipo di causa medica che non risponda alla definizione di fobia- e, se necessario, raccomandare il modo migliore per fronteggiare il problema.
L’aspetto fondamentale, giunto il momento di trattare una fobia, è essere deciso a superarla, non deludersi se i risultati tardano, fissarsi mete chiare e possibili (non immaginare situazioni impossibili da raggiungere: una persona con cinofobia –paura dei cani- forse non riuscirà mai a godere dalla compagnia di tre mastini, ma può sentirsi bene se riesce a visitare un amico che ha un cane in casa senza per questo sentire ansietà nei giorni precedenti. Si deve poi stabilire un giorno determinato per iniziare la terapia, caricandosi di pazienza. In fine, dare valore a tutti e a ogni successo, per piccoli che possano sembrare e che implicano sempre un grande passo.

Alcune note fobie.

All’interno della classificazione in fobie specifiche (paura di certi oggetti, situazioni o fenomeni) e fobie sociali (timore o ansietà estrema dinanzi a determinati avvenimenti, come stabilire contatto verbale con sconosciuti o avere contatto con la famiglia politica), si deve dire che sono molto più comuni le prime. Di fatto, molta gente patisce una fobia specifica ma questa non influisce la loro vita quotidiana (come potrebbe essere il caso di una persona che viva in una grande città e patisca di ofidiofobia –paura dei serpenti- e che, giunto il caso, eviterà di trovarsi loro in uno parco zoologico).
Sebbene sia difficile determinare quali siano le dieci fobie più comuni (poiché variano a seconda del sesso e dell’età – gli adolescenti patiscono fobie sociali con maggiore frequenza degli adulti-), ecco qui un elenco di quelle che vengono considerate più frequenti in genere:
Aracnofobia: Si tratta della paura dei ragni. Si calcola che la metà delle donne e il 10% degli uomini patiscono di un qualche grado di questa fobia. Le reazioni di queste persone risultano esagerate per gli altri e persino per gli stessi fobici. Queste persone cercano di mantenersi lontano dai luoghi dove possono trovarsi ragni, o dove hanno visto ragnatele. Nei casi più seri, il panico può essere scatenato persino vedendo una fotografia.
Sociofobia: Si tratta di una paura persistente e intensa di essere giudicato negativamente nelle occasioni sociali. È una fobia tra le più comuni fra adolescenti e giovani e si calcola che circa un 4% delle persone tra 18 e 55 anni la patiscono. A differenza di quanto succede nella maggioranza delle fobie, questa fobia sociale è ugualmente comune tra uomini e donne.
Aerofobia: Si tratta della molto comune paura a viaggiare in aereo (si calcola, di fatto, che solo il 5% dei passeggeri salgono in aereo senza timori di sorta). Tuttavia, le persone che patiscono di questa fobia non sentono solo una leggera inquietudine al momento dell’atterraggio e del decollo, ma in occasioni le fobie gli impediscono di pensare soltanto ad una viaggio di questo tipo o recano disturbi di ansietà dinanzi alla prospettiva di un futuro viaggio, persino mesi prima di portarlo a termine.
Agorafobia: Si tratta della paura degli spazi aperti ed è un disturbo più comune tra le donne che tra gli uomini. L’agorafobico teme ogni luogo dove non si sente “sicuro” o non può “ricevere aiuto”. Chi soffre di questo tipo di disturbo di solito si rifugia nella sua casa e raramente esce, poiché in queste occasioni sente una gran ansietà. È la fobia che con maggior frequenza motiva visite agli specialisti.
Claustrofobia: Al contrario dell’agorafobia, questo disturbo implica il timore di restare confinato in spazi chiusi. Si calcola che tra un 2 e un 5% della popolazione mondiale patisce di questa fobia. Queste persone tendono a evitare ascensori, metrò, tunnel, stanze piccole, persino porte girevoli possono presentare difficoltà, come anche l’uso di attrezzature per tecniche mediche diagnostiche come la TAC.
Acrofobia: Si tratta della paura delle altezze, non semplici vertigini ma un timore che porta all’ansietà a chi ne patisce. La fobia di solito si manifesta in situazioni quali affacciarsi ad un balcone, essere in un belvedere in alto o vicino a un burrone. Come succede anche in altre fobie, coloro che ne patiscono cercheranno di evitare la situazione temuta.
Emetofobia: Si tratta della paura del vomito o di vomitare. Ci sono persone che sentono più di una semplice avversione verso l’atto di vomitare e che persino cambiano le loro consuetudini alimentari e sociali in conseguenza di ciò (per esempio, evitano di mangiare in ristoranti per timore che il cibo servito possa produrre mal di stomaco). Sebbene solo nei casi più estremi si considera fobia, si calcola che il 6% della popolazione sente paura di vomitare.
Carcinofobia: Si tratta della paura di contrarre il cancro. È uno dei timori più comuni dal momento in cui la maggior parte degli adulti sentono apprensione dinanzi la possibilità di manifestare i sintomi di questa malattia. Tuttavia, nel caso dei fobici si tratta di una paura molto antinaturale, poiché dimostrano di temere qualsiasi sintomo fisico negativo, associandoli tutti a sintomi della malattia.
Brontofobia: Sono comuni le fobie che coinvolgono elementi climatici o determinati fenomeni meteorologici, è questo il caso della brontofobia. Consiste nella paura estrema dei fulmini e tuoni delle tormente. Colui che partisce questa fobia sarà allarmato sia prima che durante le tormente, e nei casi estremi patirà i sintomi dell’ansietà. Può persino veder influenzata la sua vita sociale, poiché la pianificazione delle sue attività dipende dalle previsioni meteorologiche e piò non recarsi al lavoro o modificare le abitudini per via del clima.
Necrofobia: la paura della morte è qualcosa di naturale e istintivo nell’uomo, possibilmente perché la morte è lo sconosciuto. Inoltre, si associa la morte con i patimenti che la precedono, dolore, sofferenza, ecc. Tuttavia, alcune persone soffrono di una vera fobia verso la morte e gli esseri morti. Coloro che patiscono di questa condizione non possono spiegare il senso agghiacciante che sentono al avere quando vedono a una mummia o a un cadavere.

giovedì 29 settembre 2011

Un po' di sagge storielle.

Lezione n° 1
Un uomo va sotto la doccia subito dopo la moglie e nello stesso istante suonano al
campanello di casa. La donna avvolge un asciugamano attorno al corpo, scende le
scale e correndo va ad aprire la porta: è Giovanni, il vicino. Prima che lei possa dire
qualcosa lui le dice: "ti do 800 Euro subito in contanti se fai cadere l'asciugamano!"
Riflette  e in un attimo l'asciugamano cade per terra... Lui la guarda a fondo e  le da la somma pattuita. Lei, un po' sconvolta, ma felice per la piccola  fortuna guadagnata in un attimo risale in bagno. Il marito, ancora  sotto la doccia le chiede chi fosse alla porta. Lei risponde: "era  Giovanni". Il marito: "perfetto, ti ha restituito gli 800 euro che gli  avevo prestato?"
Morale n° 1:
Se lavorate in team, condividete sempre le informazioni!

Lezione n° 2
Al volante della sua macchina, un attempato sacerdote sta riaccompagnando una giovane monaca al convento.
Il sacerdote non riesce a togliere lo sguardo dalle sue gambe accavallate.
All'improvviso poggia la mano sulla coscia sinistra della monaca. Lei lo guarda e gli
dice: "Padre, si ricorda il salmo 129?" Il prete ritira subito la mano e si perde in
mille  scuse. Poco dopo, approfittando di un cambio di marcia, lascia che la  sua mano sfiori la coscia della religiosa che imperterrita ripete:  "Padre, si ricorda il salmo 129?" Mortificato, ritira la mano,  balbettando una scusa. Arrivati al convento, la monaca scende senza dire  una parola. Il prete, preso dal rimorso dell'insano gesto si precipita  sulla Bibbia alla ricerca del salmo 129.
"Salmo 129: andate avanti, sempre più in alto, troverete la gloria..."
Morale n° 2:
Al lavoro, siate sempre ben informati!

Lezione n° 3
Un rappresentante, un impiegato e un direttore del personale escono
dall'ufficio  a mezzogiorno e vanno verso un ristorantino quando sopra una panca  trovano una vecchia lampada ad olio. La strofinano e appare il genio  della lampada.
"Generalmente esaudisco tre desideri, ma poiché  siete tre, ne avrete uno ciascuno". L'impiegato spinge gli altri e  grida: "tocca a me, a me....Voglio stare su una spiaggia incontaminata  delle Bahamas, sempre in vacanza, senza nessun pensiero che potrebbe  disturbare la mia quiete". Detto questo svanisce. Il rappresentante  grida: "a me, a me, tocca a me!!!! Voglio gustarmi un cocktail su una  spiaggia di Tahiti con la donna dei miei sogni!" E svanisce. Tocca a te,  dice il genio, guardando il Direttore del personale.
"Voglio che dopo pranzo quei due tornino al lavoro!"
Morale n° 3:
Lasciate sempre che sia il capo a parlare per primo!

Lezione n° 4
In  classe la maestra si rivolge a Gianni e gli chiede: 'Ci sono cinque  uccelli appollaiati su un ramo. Se spari a uno degli uccelli, quanti ne  rimangono?'
Gianni risponde: "Nessuno, perché con il rumore dello sparo voleranno via tutti".
La maestra: "Beh, la risposta giusta era quattro, ma mi piace come ragioni".
Allora Gianni dice "Posso farle io una domanda adesso?"
La maestra: Va bene.
"Ci  sono tre donne sedute su una panchina che mangiano il gelato. Una lo  lecca delicatamente ai lati, la seconda lo ingoia tutto fino al cono,  mentre la terza dà piccoli morsi in cima al gelato. Quale delle tre è  sposata?" L'insegnante arrossisce e risponde: "Suppongo la seconda...  quella che ingoia il gelato fino al cono".
Gianni: "Beh, la risposta corretta era quella che porta la fede, ma... mi piace come ragiona"!!!
Morale n° 4: Lasciate che prevalga sempre la ragione.

Lezione n° 5
Un giorno, un non vedente era seduto sul gradino di un marciapiede con un
cappello  ai suoi piedi e un pezzo di cartone con su scritto: "Sono cieco,  aiutatemi per favore". Un pubblicitario che passava di lì si fermò e  notò che vi erano solo alcuni centesimi nel cappello. Si chinò e versò  della moneta, poi, senza chiedere il permesso al cieco, prese il  cartone, lo girò e vi scrisse sopra un'altra frase.
Al pomeriggio, il pubblicitario ripassò dal cieco e notò che il suo cappello era pieno di monete e di banconote.
Il  non vedente riconobbe il passo dell'uomo e gli domandò se era stato lui  che aveva scritto sul suo pezzo di cartone e soprattutto che cosa vi  avesse annotato.
Il pubblicitario rispose: "Nulla che non sia vero, ho solamente riscritto la tua frase in un altro modo".
Sorrise e se ne andò.
Il non vedente non seppe mai che sul suo pezzo di cartone vi era scritto:
"Oggi è primavera e io non posso vederla".
Morale n° 5: Cambia la tua strategia quando le cose non vanno molto bene e vedrai che poi andrà meglio.

Se  un giorno ti verrà rimproverato che il tuo lavoro non è stato fatto con  professionalità, rispondi che l'Arca di Noè è stata costruita da  dilettanti e il Titanic da professionisti....
Per scoprire il valore di un anno, chiedilo ad uno studente che è stato bocciato all'esame finale.
Per scoprire il valore di un mese, chiedilo ad una madre che ha messo al mondo un bambino troppo presto.
Per scoprire il valore di una settimana, chiedilo all'editore di una rivista settimanale.
Per scoprire il valore di un'ora, chiedilo agli innamorati che stanno aspettando di vedersi.
Per scoprire il valore di un minuto, chiedilo a qualcuno che ha appena perso il treno, il bus o l'aereo.
Per scoprire il valore di un secondo, chiedilo a qualcuno che è sopravvissuto a un incidente.
Per scoprire il valore di un millisecondo, chiedilo ad un atleta che alle Olimpiadi ha vinto la medaglia d'argento.
Il tempo non aspetta nessuno. Raccogli ogni momento che ti rimane, perché ha un
grande valore. Condividilo con una persona speciale, e diventerà ancora più importante.
L'origine  di questi racconti è sconosciuta, pare portino buonumore e fortuna a  chi li manda e a chi li dice, quindi non tenerli per te.

IL MILLEPIEDI E LA FORMICA


C’era un volta un millepiedi che camminava con le sue mille zampe tra le foglie d’erba di un prato. Una formica, anche lei a passeggio, lo vide, gli si avvicinò e cominciò ad osservarlo con curiosità.
Ad un certo punto si fece coraggio ed attaccò bottone: “scusa tanto millepiedi”, gli disse, “ma come fai a camminare così bene, senza inciampare né cadere mai, con tutti quei piedi che si muovono assieme?”.
Il millepiedi si fermò tutto d’un colpo e cominciò a pensarci su…su…su ed ancora…e non riuscì più a camminare senza incespicare.

martedì 27 settembre 2011

M.H.Erickson La prescrizione del sintomo

La persona, con il suo sintomo, dice molte cose di sé e del suo profondo. Quello che affiora permette non solo d’interpretare il sintomo ma fornisce anche la terapia per curarlo. Il sintomo può essere considerato come un amico da cui s’impara...Quando si prescrive il sintomo, la persona ha solo due possibilità o lo abbandona, disubbidendo alla prescrizione, oppure segue la prescrizione, mettendolo in atto in modo volontario. Si tratta di rendergli il sintomo insopportabile, amplificandolo abnormemente, in modo che lo abbandoni. Lo si invita a fare affinché non faccia più...la prescrizione del sintomo potrebbe essere considerata come un’applicazione del motto di Adler sulla terapia, in cui diceva che la terapia è come sputare nella minestra di qualcuno. Quel qualcuno può continuare a mangiarla ma non può più gustarla! Quello che la persona definisce sintomo o problema è un suo modo d’etichettare la realtà. Bisogna dare al sintomo o al problema del persona un’etichetta nuova e buona, in altre parole in positivo, in modo che la persona interpreti la realtà diversamente.

lunedì 26 settembre 2011

Ognuno costruisce la realtà che poi subisce

© Copyright 2009 Marco Pingitore
Per citazioni: Pingitore M., 2009, Modello strategico integrato e analisi dell'azione deviante, aipsi.net
“Essere deviante” è differente da “fare il deviante”. Il primo concetto riporta ad una posizione deterministica che si ricollega alla Scuola Positiva; il secondo lascia più spazio alla possibilità di scelta di un individuo e alla maggiore possibilità di intervento e cura di un determinato disturbo psicologico. Anche a livello narrativo e suggestivo, crea molta differenza rivolgersi ad un soggetto dicendogli “Fai il deviante”, anziché “Sei deviante”. A differenza di altri approcci psicoterapici più tradizionali, lo strategico si basa essenzialmente sul presente del paziente ovvero sul problema portato in seduta. Chapman [1969] parlava di “correlazione illusoria” esprimendo il concetto secondo il quale un evento presente è spiegato ricercando la causa nel passato. Come se quello che accade oggi, fosse inesorabilmente legato a qualche fatto del passato, perdendo di vista il “qui e ora” e, soprattutto, il futuro. Se il presente è negativo, si cercheranno pezzi negativi del passato creando un link. Il comportamento di una persona depressa potrebbe essere spiegato cercando nel passato cause ed effetti del presente.
Uno dei limiti di questa modalità esplorativa e indagatrice è cercare la conferma di un'ipotesi stabilita. Se il soggetto soffre di depressione, sicuramente si sono verificati degli episodi negativi e specifici che hanno sviluppato e determinato questo status. Un altro esempio è la ricerca dell'abuso sessuale su un minore là dove esista solo un'ipotesi. Se la raccolta della testimonianza è condotta da un esperto che si pone in una condizione verificazionista è presumibilmente logico che il risultato sarà che quel bambino testimone ha sicuramente subito una violenza. Watzlawick parlava di profezie che si autodeterminano: “una profezia che si autodetermina è una supposizione o profezia che, per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria 'veridicità'” [1988].
Il modello strategico, pertanto, rivolge la sua attenzione ai significati del paziente rispetto al suo presente. Il modello strategico breve, ad esempio, non considera il passato del soggetto, ma utilizzando dei protocolli specifici creati ad hoc per ogni disturbo, interviene esclusivamente per modificare il presente e per direzionare il futuro. Il nostro modello, invece, rivolge la sua attenzione sicuramente all'hic et nunc della persona, tuttavia senza tralasciare la sua storia anche perché solo tenendo in giusta considerazione il passato si possono evitare i medesimi errori nel futuro. Finora abbiamo esplicitato che: il soggetto non subisce la realtà, ma la costruisce e ne anticipa gli eventi; è pericoloso ricercare nel passato le cause negative legate ad un evento negativo del presente, il rischio è di aumentare le probabilità che l'evento stesso possa verificarsi; la psicoterapia strategica integrata si differenzia sostanzialmente con quella breve perché concentra la sua attenzione, oltre che sul presente, anche sul passato del paziente e non utilizza protocolli specifici d'intervento. La psicoterapia strategica nasce dai contributi di illustri studiosi quali Erickson, Mead, Bateson e più in generale dalla scuola californiana di Palo Alto. Siamo negli anni 50 e 60 in cui si fondarono due centri molto importanti: il Mental Research Institute e il Brief Therapy Center in cui gli studi erano molto concentrati sulla comunicazione.
Torniamo ancora sul mio libro preferito Delitto e Castigo. Il protagonista dopo aver ucciso la vecchia usuraia, non si accorge della presenza della sorella della vittima: “A un tratto sentì che nella stanza della vecchia qualcuno stava camminando [...]. In mezzo alla stanza c'era Lizaveta, con un grosso involto tra le mani, e fissava intorpidita la sorella assassinata [...]. Raskòl'nikov non avendo pianificato due omicidi, decide all'ultimo istante di uccidere anche l'altra sorella. In pochissimi secondi effettua una cambiamento della sua costruzione primaria rispetto all'omicidio per scopo di denaro. Adesso sono due le vittime e una di queste non era prevista. Il nostro povero protagonista ha confermato il “Corollario dell'esperienza” di Kelly [2004]: “Il sistema costruttivo di una persona varia a seconda di come, di volta in volta, essa costruisce la replica degli eventi” Kelly sostiene che “poiché l'obiettivo dei processi psicologici è l'anticipazione degli eventi, ne consegue che il continuo rivelarsi degli eventi sollecita la persona a porre nuove costruzioni su di essi, ogniqualvolta accada qualcosa di inaspettato” [ibidem]. La realtà oggettiva e unica non esiste, ma esistono tante realtà quanti tutti gli esseri umani nel mondo. Ognuno vive seguendo ciò che ha costruito. Se esistesse solo un'unica realtà si verificherebbe una condizione perfetta di vita, ma, (s)fortunatamente, non è così. Quando due o più realtà si incrociano può verificarsi lo scontro tra riferimenti personali differenti causando la nascita di un sintomo.

La chiave perduta.

La chiave perduta, ovvero “ancora lo stesso”
Sotto un lampione c’è un ubriaco che sta cercando qualcosa. Si avvicina un poliziotto e gli chiede che cosa ha perduto. “La mia chiave,” risponde l’uomo, e si mettono a cercare tutti e due. Dopo aver guardato a lungo, il poliziotto gli chiede se è proprio sicuro di averla persa lì. L’altro risponde: “No, non qui, là dietro; solo che là è troppo buio.”

La storia del martello

Un uomo vuole appendere un quadro. Ha il chiodo, ma non il martello. Il vicino ne ha uno, così decide di andare da lui e di farselo prestare. A questo punto gli sorge un dubbio: e se il mio vicino non me lo vuole prestare? Già ieri mi ha salutato appena. Forse aveva fretta, ma forse la fretta era soltanto un pretesto ed egli ce l’ha con me. E perché? Io non gli ho fatto nulla, è lui che si è messo in testa qualcosa. Se qualcuno mi chiedesse un utensile, io glielo darei subito. E perché lui no? Come si può rifiutare al prossimo un così semplice piacere? Gente così rovina l’esistenza agli altri. E per giunta si immagina che io abbia bisogno di lui, solo perché possiede un martello. Adesso basta! E così si precipita di là, suona, il vicino apre, e prima ancora che questo abbia il tempo di dire “Buon giorno”, gli grida: “Si tenga pure il suo martello, villano! “

domenica 25 settembre 2011

A chi pensa di sbagliare sempre.

C'era una volta una coppia con un figlio di 12 anni e un asino. Decisero di viaggiare, di lavorare e di conoscere il mondo. Così partirono tutti e tre con il loro asino.
Arrivati nel primo paese, la gente commentava: "guardate quel ragazzo quanto è maleducato...lui sull'asino e i poveri genitori, già anziani, che lo tirano."
Allora la moglie disse a suo marito: "non permettiamo che la gente parli male di nostro figlio."
Il marito lo fece scendere e salì sull'asino.
Arrivati al secondo paese, la gente mormorava: "guardate che svergognato quel tipo, lascia che il ragazzo e la povera moglie tirino l'asino, mentre lui vi sta comodamente in groppa".
Allora, presero la decisione di far salire la moglie, mentre padre e figlio tenevano le redini per tirare l'asino.
Arrivati al terzo paese, la gente commentava: "pover'uomo! Dopo aver lavorato tutto il giorno, lascia che la moglie salga sull'asino. E povero figlio, chissà cosa gli spetta, con una madre del genere! Che madre snaturata!"
Allora si misero d'accordo e decisero di sedersi tutti e tre sull'asino per cominciare nuovamente il pellegrinaggio.
Arrivati al paese successivo, ascoltarono cosa diceva la gente del paese: "sono delle bestie, più bestie dell'asino che li porta. Gli spaccheranno la schiena!"
Alla fine, esasperati, decisero di scendere tutti e camminare insieme all'asino.
Ma, passando per il paese seguente, non potevano credere a ciò che le voci dicevano ridendo: "guardate quei tre idioti: camminano, anche se hanno un asino che potrebbe portarli!"